#Dogman: l'idiota e la croce
- Scritto da Luca Cardone
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DOGMAN


Gemma preziosa nella filmografia di Matteo Garrone è “Dogman”. Liberamente ispirato ai fatti veri del caso Canaro del 1988, il film ha portato a casa il premio per la miglior interpretazione maschile di Marcello Fonte al Festival del cinema di Cannes. Qui la nostra recensione (spoiler).
Se per il neorealismo qualsiasi libro di storia e critica del cinema ricalca l'accento su quella fondamentale differenza tra rossellinismo e viscontismo, oggi in Italia il cinema sembra essere sullo stesso doppio binario degli anni quaranta e cinquanta. Da una parte l'estetismo ricercato di Sorrentino: vuoto penumatico organizzato e plasmato attraverso linee e modelli ricercati, piacenti e devoti ad un barocchismo di fondo esploso ed esasperato. Dall'altra c'è la gente comune di Garrone, le storie “terra terra”, il minimalismo tecnico e l'affresco naturale.
Dopotutto Dogman è un film che non dovrebbe fare notizia poiché in assoluta continuità con ciò che Garrone, forse escludendo Il racconto dei racconti, ci ha da sempre già mostrato. Ancora il popolino, ancora contesti poveri e nature morte. Neanche l'esasperante violenza fa da tocco in più, perché già Gomorra non deludeva lo spettatore alla ricerca di sangue fresco.
Il protagonista di Garrone è Marcello, un vero e proprio idiota, inteso nel senso più letterario e positivo del termine. L'idiota gestisce un centro di lavaggio per cani, partecipa alle fiere in cui è premiata l'acconciatura canina più originale e incassa qualche soldone in più smerciando cocaina nella piccola piazzola decadente e malfamata di una delle qualsiasi periferie romane.
L'idiota è l'amicone di tutti, quello cui dare forti schiaffi sulla nuca senza dover poi chiedere scusa. L'elemento debole per ingenuità e assenza d'orgoglio, che tanto ascolta e poco viene interpellato. Come ogni idiota, Marccello ha la propria “croce” da portare sulle spalle con sorriso e pazienza, in uno stadio liminare tra l'inconsapevolezza e la rassegnazione. La croce di Marcello si chiama Simone. Ex pugile forte e robusto, con una sindrome di Peter Pan inabissata nell'illegalità, negli stupefacenti e nella non osservanza delle regole basilari della socialità, oltre che quelle scritte e dei tribunali.
Il piccolo negozio canino è un varco sempre aperto per Simone che in qualsiasi momento “chiede ed ottiene” senza una vera e propria risposta di Marcello.
“L'impiccio” definitivo organizzato da Simone, soggetto più odiato dalla piazza, di cui ogni negoziante della zona vorrebbe sbarazzarsi, è una rapina nella gioielleria adiacente l'attività di Marcello, che finisce in disgrazia pur di non condannare il suo quasi amico.
Fin qui Dogman passa sulle schermo come la semplice ripresa ravvicinata di un uomo poco sveglio e al fondo delle micro-gerarchie sociali. Una tiritera lunga e a tratti noiosa che finisce per indurre lo spettatore a chiedere e domandare: poi? La richiesta tuttavia sottende un silenzioso crescendo che sapientemente Garrone mantiene in tensione, senza fretta, meditando.
La covata di Garrone conduce alla schiusa di tutti i “sensi” di Dogman. L'idiota, non più solo idiota, è messo nella scomoda posizione per cui, bollato come complice del disturbatore, ha ormai assunto l'aurea nera di chi va escluso, di chi è tenuto fuori dai locali dei vecchi compagni; in una parola: l'infame.
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Luca Cardone
Appassionato di letteratura classica, divoratore di testi teatrali e immancabilmente cinefilo nel midollo.
Follemente innamorato dello scrittore austriaco Thomas Bernhard.
Consacra la sua vita accademica alla filosofia, amalgamando gli antichi studi libreschi con la materia del cinema.
Aspirante scrittore con il sogno nel cassetto della regia; non è insolito sentirgli dire: dopo Tarkovskij se proprio c'è qualcuno quello è Dio.