#Papillon: la recensione
- Scritto da Luca Cardone
- Pubblicato in cinema
PAPILLON


Basato sul racconto autobiografico di Henri Charrière, ma anche remake del film omonimo del 1973 diretto da Shaffner, con Dustin Hoffman e Steve McQueen, Papillon è l'ultimo film di Michael Noer. Nelle sale italiane dal 27 giugno.
Henri "Papillon" Charrière è uno scassinatore della malavita parigina che viene incastrato per omicidio che non ha commesso e condannato a scontare la pena nella famigerata colonia penale francese sull'Isola del Diavolo.
Determinato a riconquistare la libertà, Papillon crea un'improbabile alleanza con un altro condannato, l'eccentrico contraffattore Louis Dega, che in cambio di protezione, accetta di finanziare la fuga di Papillon, creando con questo un legame di amicizia duratura.
Il confronto con la pellicola del 73, ahimè, è necessario, e tanto di guadagnato ci sarebbe se questo Papillon avesse provato a barare, stravolgendo qualcosa, facendo carte false. Appiattendosi sul romanzo e sull'esperienza cinematografica di Shaffner, genitore severo di questa giovane pellicola figliastra, Pappilon è un bel buco nell'acqua, grande almeno quanto quello che Henri fa saltando dalla scogliera quando tenta l'ultima evasione dall'isola del diavolo.
La storia di Papillon con Noer guadagna tutto ciò che un film del 2018 avrebbe mai potuto guadagnare rispetto ad uno del 73. Triplicata la dose di violenza, così come quella di carne e di sangue. Perde circa venti minuti sul metraggio. L'interesse è tutto rivolto alla cattiva piega che la malefica dinamicità degli eventi ripresenta ai due protagonisti dietro le sbarre, sbarre inusuali e anche un po' vigliacche. Ma dove il film di Shaffner poteva vantare una narrazione lineare e compatta, con un canovaccio studiato nei minimi dettagli, l'aggiornamento di Noer si affida totalmente ad una quasi illogicità narrativa, un'assenza di scaletta. La semplice adiacenza di blocchi tanto distinti quanto necessari e da dover raccontare, che per forza di cose devono essere legati assieme. L'esperienza filmica del 73 prevedeva dunque una totale riflessione sulla permanenza in una terra altra e diversa, proponendo la sensazione di alienamento che la pellicola a noi contemporanea cerca a tratti ma non trova.
Sulla scelta del cast poi non c'è poi molto da dire. Il macio e il tonto occhialuto. Poco, davvero troppo poco da dire su due personaggi poco più che abbozzati e forse mai scoperti del tutto neanche dagli attori stessi; approccio troppo superficiale e approssimativo.
In definitiva un discreto film d'intrattenimento che seguirete fino alla fine, saprà anche tenervi con il fiato sospeso. Troppe volte vi farà arrabbiare per la banalità della sceneggiatura (che sembra fare il taglia e cuci con alcuni tweet popolari del social). Poi lo dimenticherete come ci si dimentica del pasto mangiato pochi giorni prima.
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Luca Cardone
Appassionato di letteratura classica, divoratore di testi teatrali e immancabilmente cinefilo nel midollo.
Follemente innamorato dello scrittore austriaco Thomas Bernhard.
Consacra la sua vita accademica alla filosofia, amalgamando gli antichi studi libreschi con la materia del cinema.
Aspirante scrittore con il sogno nel cassetto della regia; non è insolito sentirgli dire: dopo Tarkovskij se proprio c'è qualcuno quello è Dio.